Quanto meno per me: Avrebbe un senso capire se non sia un caso che a 93 anni, alla stessa età di mio padre, ci abbia lasciato una delle più belle Glorie (continuo a dire che “vecchie” non mi piace) Bianche della nostra storia. Da quando ci siamo rivisti, al mio rientro ad Olbia a fine secolo scorso, e soprattutto da quando cominciai a lavorare al mio Kentannos, non ho più smesso di frequentarlo o di rivederlo, al campo, per le strade spesso a casa sua, sempre con immensa gioia. Era una fonte inesauribile di notizie.
Senza lui, senza Giacomino Pileri, senza zio Palleddu, zio Paolino Careddu, senza Zio Cosimino, senza zio Archimede, senza Gustavo… senza i tanti “nostri padri sportivi” il mio libro, quella dignitosa, seppur modesta, Summa della Nostra Storia calcistica non avrebbe mai visto la luce.
Lui poi, è stato per me, il più speciale di tutti. Perché fino all’ultimo ha continuato a frequentare il Nespoli, la sua seconda anima, dopo la moglie Edoarda e la sua famiglia.
Nei suoi racconti, nelle sue foto (me le diede tutte, ma le rivolle tutte indietro, perché quello era un bene prezioso) ho avuto la grazia di rivivere non solo quell’Olbia del comunale, ma Olbia piccolo borgo di mare nella sua interezza. La città uscita malconcia dalla guerra che, anche nel continuare la tradizione della società sportiva e giocare a “sa boccia”, faticosamente cercava di risorgere.
Qualcuno mi raccontò che oltre a Chineddu avesse un altro non proprio simpatico istivinzu (quanto si incazzò quando, per la prima e unica volta, lo chiamai così) ma lui, era un profluvio di aneddoti, racconti, anche qualche pettegolezzo. Alcuni riuscii a riportarli (edulcorati) anche in Kentannos; perché erano l’unica misura utile, a capire quei tempi, quelle generazioni di giovani. Cussu istivinzu, a lui giustamente indigesto, glielo avevano affibbiato perché era un “peperino” che, come si usava dire, non aveva “peli sulla lingua”, insomma diceva sempre quello che pensava.
Anche in questo mi ricordava mio padre (Limdudu, lo chiamavano a Pattada, nei primi anni del suo giornalismo), ma devo testimoniare che quando criticava qualcuno lo faceva solo sotto l’aspetto sportivo. All’epoca la distinzione era netta o “no bi vidi onu” o “fidi folte”.
E, ricordo, che dopo aver avuto una discreta “casistica” tra i “non buoni” e i “forti”, parlando con Giacomino Pileri, alla mia domanda sul perché lui avesse smesso di giocare con l’Olbia, dopo il campionato ’46-’47, mi rispose: “proite no bi fio onu”; confermando in qualche modo l’assoluta genuinità di quei rapporti, di quelle passioni sportive e di aggregazioni, sopra ogni altra cosa, Umane.
Ecco, con Chineddu, se ne va un pezzo di me, un pezzo importante della mia passione, della mia vita… ed anche l’Olbia ed Olbia perdono, senza dubbio, uno dei suoi figli migliori.
A nos bider in kelu, si Deus keret… Tore